Un viaggio tra i sogni e il talento: la storia della sartoria Tirelli
«Provammo i costumi. Io fissavo gli spilli, stringevo, accorciavo. Pietro Tosi, il costumista, era visibilmente agitato. Regnava un silenzio profondo. Maria Callas si specchiò e pronunciò: “Ora sono Medea”. Tosi quasi non riusciva a crederci. In sartoria, mentre lavoravamo ai costumi, non aveva smesso di ripetermi: “Figurati Maria, quando vedrà questi stracci! Lei si immagina Medea avvolta in sete preziose, e noi le offriamo cenci di nonna!”. Ed erano davvero stracci, ma studiati con cura. Era stata un’idea di Tosi, che Pier Paolo Pasolini aveva incaricato dei costumi per Medea.» Così si apre il libro Vestire i sogni di Umberto Tirelli costumista per i più noti capolavori del cinema e Guido Vergani (Feltrinelli, 1981), che racconta uno degli episodi memorabili della storia della sartoria Tirelli.
Ci troviamo nell’Atelier Tirelli, nel quartiere Prati di Roma, per ripercorrere i sessant’anni di una sartoria che ha contribuito a ben 17 premi Oscar. Dino Trappetti, attuale presidente, ci accoglie nel suo studio, un tempo appartenuto a Umberto Tirelli, mantenuto immutato e ancora attivissimo. Trappetti ci riporta a un’epoca carica di creatività, entusiasmo e incontri fortunati. La storia prende vita intrecciando il mondo dello spettacolo con grandi amicizie e la magia della Dolce Vita. Tirelli, soprannominato “Tirellino” da Luchino Visconti, iniziò come assistente ai costumi per La Traviata alla Scala di Milano, con Maria Callas protagonista, e presto conquistò la scena grazie al suo talento. Visconti lo portò a Roma, introducendolo nella vivace comunità artistica di Via dei Due Macelli, frequentata da personalità come Franco Zeffirelli, Mauro Bolognini, Danilo Donati e lo stesso Pietro Tosi.
Il legame con Via dei Due Macelli segnò l’inizio di collaborazioni memorabili. Tirelli, ancora giovane, lavorò ai costumi per Il Gattopardo, guadagnandosi una reputazione che lo spinse ad aprire la propria sartoria nel 1964, grazie anche all’investimento iniziale dell’amico Dino Trappetti. Con solo due macchine da cucire, cinque sarte e tanta determinazione, Tirelli trasformò il suo sogno in una realtà capace di produrre costumi artigianali che oggi superano le 350.000 unità, oltre a 15.000 abiti d’epoca originali. Si definiva «un sarto di origini contadine che veste i sogni, non le persone».
Trappetti, inizialmente attore e successivamente legato alla sartoria, si affermò nel mondo delle pubbliche relazioni, collaborando con festival e grandi nomi del teatro e del cinema, fino alla prematura scomparsa di Tirelli nel 1990, momento in cui prese le redini della sartoria. Da quel punto iniziò una nuova era, con Tirelli costumi che continuava a lavorare per produzioni internazionali e vincere Oscar.
Tra i riconoscimenti più celebri, quello per i costumi di Amadeus di Miloš Forman nel 1985 e per L’età dell’innocenza di Martin Scorsese nel 1994. Nel 1997, Ann Roth, ricevendo l’Oscar per Il paziente inglese, dichiarò: «Ho vestito tutte le grandi star americane, ma è stato in Italia che ho vinto un Oscar. Grazie, Tirelli».
Nonostante il declino del cinema italiano dagli anni ’80, dovuto anche a politiche culturali inadeguate, la sartoria Tirelli ha continuato a eccellere, collaborando con le principali produzioni internazionali. Trappetti denuncia però la crisi del settore, che ha portato molte produzioni a spostarsi all’estero, lasciando vuoti gli studi di Cinecittà. Giuseppe Tornatore, nel documentario Sartoria Tirelli – Vestire il cinema di Gianfranco Giagni, descrive l’atelier come un luogo intriso di storia: «Entrarci è come un ragazzino che entra in Chiesa per la Prima comunione. Ogni cosa parla di cinema e teatro. Persino sedersi su una sedia dà la sensazione di rovinare qualcosa di sacro.»
Tra gli aneddoti più curiosi, Martin Scorsese che, vestito in bermuda e sandali, si presentò all’atelier dicendo di voler lavorare con Tirelli per un film in costume, promessa poi mantenuta con L’età dell’innocenza. E Sophia Loren, che dopo anni di distanza dovuti a un malinteso, tornò alla sartoria e riconobbe la sua perfezione artigianale, provando un tailleur impeccabile.
Oggi la storia di Tirelli continua con nuove collaborazioni e ispirazioni. Il film Diamanti di Ferzan Özpetek, in uscita a dicembre, è ambientato proprio in una sartoria di cinema e racconta il dietro le quinte del costume. Con un cast corale e i costumi firmati da Stefano Ciammitti, allievo di Tosi, il film testimonia l’eredità di Tirelli e la centralità del costume nel racconto cinematografico.
In Tirelli non si confezionano semplici abiti, ma pezzi di storia.
Come disse Matt Damon sul set di Il talento di Mr. Ripley: «Tu sei il mio specchio». Queste parole riassumono l’essenza di una sartoria che, oltre alla maestria artigianale, ha fatto dell’empatia con artisti e collaboratori il proprio tratto distintivo. Una tradizione che, anche dopo sessant’anni, non smette di affascinare e innovare.