La sua è una pittura di indignazione e di visioni metafisiche e apocalittiche, in lotta contro i disastri della società moderna che si oppone alla purezza della natura. Una risposta ad una necessità che è il sentirsi ed essere malato.

I personaggi che popolano il mondo di Momò hanno assistito alla ” caduta degli dei ” ma conservano l’imprinting del mito più alto.

I suoi “relitti umani ” godono e si preparano all’atto, forse finale, dell’effusione amorosa, della totale consunsione carnale dell’individuo; divorano con cupidigia ma sanno aspettare con pazienza la loro vittima o il loro carnefice, contemplano assorti il vuoto dell’esistenza celato dietro il pieno strabordante della forma esteriore.

I personaggi di una periferica e provinciale società opulenta
Un pittore dotato di una sua spiccata personalità, già padrone di un proprio singolare linguaggio e già capace di formulare plasticamente una visione originale della realtà con cui è costretto a fare i conti.

Momò è un artista satirico, che scende nel dettaglio, che rappresenta con puntiglio scene e situazioni, che racconta e descrive. La satira non può essere né generica né approssimativa. Ha bisogno di acutezza, di penetrazione critica, di pungenti definizioni.

La tecnica del grottesco, l’accentuazione dei caratteri somatici come traslato delle deformazioni e delle mostruosità interiori, l’amplificazione dei gesti nella falsa teatralità degli ambienti: tutto ciò fa parte del suo metodo, di cui egli si serve egregiamente, con finezza grafica e cromatica, senza mai scivolare nella sbracatura o nella perorazione moralistica.

Ogni opera di Momò è sempre un convegno di personaggi, quando addirittura non ne brulichi. Sono i personaggi di una periferica e provinciale “società opulenta”, i protagonisti dei “nuovi ceti emergenti”, gli speculatori, i parassiti, i mangioni, i servi in divisa del potere: il giudice intrallazzato col mafioso, il prete che assolve da ogni peccato e il generale che dà lustro e garanzie patriottiche alle feste e ai banchetti, dove trionfa una confusa presenza carnale di dame, cortigiane e baldracche, sfarzosamente agghindate per la “rappresentazione”.

Un simile spettacolo non è certo nuovissimo: sin dai tempi di Hogarth e di Daumier fa parte del mondo dell’ arte. Ciò significa che una tale realtà è dura a morire, si rinnova, e per altre vie si ripresenta sulla scena anche oggi. Il tempo della satira, con occhio e segno diversi, è dunque tutt’altro che finito. Ecco: Momò l’ha capito e in questo senso si muove.  Mario De Micheli


Un carnevale dissennato sull’orlo della catastrofe
La scintillante ironia di questa sua rutilante giostra impiantata in mezzo ai campi di grano, nel cuore antico di un’ attività contadina, di cui protervamente non s’intende rispettare il giudizio, è folta d’invenzioni, di personaggi, di pittoresca sguaiataggine o di fascinose volgarità: tecnologia e circo equestre, fantascienza e baraccone, dove gangster, teppisti, buffoni, star e uomini d’affari, girano vorticosamente intorno, su aerei vistosamente decorati, in una sorta di allegra e farsesca <Apocalypse now >.


Ogni dettaglio è acuto, preciso carico di riferimenti e il gusto del grottesco sempre trattenuto da un sicuro rigore formale. Di questo rigore, unito a una immaginazione ricca di risorse, offrono un’immediata e circostanziata visione anche i disegni. Momò non sbaglia un segno, definisce sempre con esattezza pungente ogni motivo, ogni particolare. Il foglio non ha mai spazi inerti e nulla vi è secondario.
Ogni dettaglio fa parte del tutto e converge alla definizione generale dell’immagine. Mario De Micheli

Mondo ingordo e malandrino
Calascibetta non è un porticciolo deserto ai piedi di una montagna abbandonata, o una caletta di finissima sabbia nella quale rotolarsi in queste giornate interminabili della nostra estate, ma il nome di un pittore siciliano che espone a Milano ed è particolarmente bravo a disegnare.

Momò vive a Milano, costruisce con le proprie matite e pennelli esseri umani o animali perfettamente zoologici, e decisi a spaventarci.
Bene: ci è perfettamente riuscito e la sua fauna mi ricorda, oltre alle fiabe della tremendissima letteratura di mostriciattoli offerti all’infanzia, anche quel filone di cinema americano che allatta e prolifera delle signore che sono delle gran vacche e passano la vita allargate a letto, tra scatole di cioccolatini e cagnolini che si accoppiano nella imitazione dissoluta della loro padrona, mentre una serie di falliti – di uomini falliti – stanno al loro servizio, come è avvenuto nel mirabile, sordido film”Atlantic City”con Burt Lancaster e Susan Sarandon, protagonisti, con una grassona di quel genere ingordo, dei più squisiti relitti di questa società alla deriva.

I relitti di Momò mordono, inghiottono, godono e si arrampicano sulle donne e intanto si preparano ad un atto unico, quello delle effusioni amorose, ma perversi al punto da spaventare chi guarda. Giorgio Soavi

Ritorno dall’aldilà
Forse, certi onirici personaggi di Momò così ammalianti e languidi, spossati, troverebbero nell’ “Eroticus “plutarchiano la loro più autentica bibbia pulp. Fatto sta che a volte anche loro hanno le ali, proprio come gli amanti veraci teorizzati da quel sommo sacerdote dell’oracolo di Delfi, Plutarco, che avvalorava con il servizio al santuario di Apollo l’appassionata vocazione di scrittore e filosofo tradizionale, Sono le ali, si capisce, meccaniche di aerei pop da cartone animato e da cartolina postale, ornate ed ornamentali, come si addiceva a individui beneducati e ben datati del secolo scorso, Dal cuore struggente della prima metà del Novecento, infatti, ( come suggeriscono le tipologie dei loro veicoli d’epoca autenticati da Momò ), questi signori intorpiditi e stravolti fuggivano un tempo in volo verso lidi remoti e senza tempo.

Decollati con destrezza oltre le torri di controllo delle fantasticherie e delle chimere, puntavano direttamente più in alto sull’immaginario e sul mito, abbandonandosi alla potenza a doppio taglio dell’avventura ineffabile evocativa. E nella loro assenza di gravità si fermavano a mezz’aria trasformando la ricognizione a distanza in interazione immaginale carica di prodigio e disincanto. 

Così i loro arcaici vettori alati da giostra per adulti galleggiano ancora adesso leggeri e tondeggianti nelle opere di Momò. A elica oppure a reazione, adorni di stelle, rose dei venti, grintosi musi digrignanti, e corredati di bombe ma anche di passeggeri che dirottavano le missioni dei piloti dall’eroismo all’erotismo, questi epocali velivoli spiccano ora in sapidi cieli circondati, come da un passe-partout a frottage, dallo stesso pattern decorativo delle loro lustre fusoliere. 

E sorge il sospetto che nel 2001 la rotta top-secret di tali arnesi volanti, sul filo a rischio della nostalgia, possa inoltre condurli qualche volta imprevedibilmente più lontano. In questa epoca satura di cyberspazio nel discount e di discount nel ciyberspazio, può darsi insomma che anche i loro piloti automatici lucidamente programmati da Momò trasportino i viaggiatori ignari verso la realtà virtuale delle soluzioni immaginarie.

Oppure che riescano a condurli, in una sommersione ancora più inconscia ed estrema, verso quell’ ”altrove nostalgico” di un’esistenza amniotica totale, al di là di ogni vivere e cessare di vivere immaginari, proclamato da Andrè Breton nel “Segreto dell’arte magica surrealista”. “Il vero amante infatti”, secondo il vangelo platoneggiante di Plutarco,” quando è stato nell’aldilà e ha interagito con la bellezza, giustamente ha le ali e celebra i misteri. Lucio Cabutti

Omaggio a Mozart
ho finito prima di avere goduto del mio talento” dall’epistolario di W. A.Mozart 24,06,1971

Il suo tributo a Mozart va cercato nell’atteggiamento spregiudicato e disinibito che ha cercato di assumere nel dipingere e nella sua accorata invocazione a quello spirito dell’equilibrio tra libertà e forma che ha dominato Mozart nella sua creatività; quello spirito che permette di agire in maniera totalmente libera, perché conforma la propria libertà alla NECESSITA’.