Omaggio a Emanuele Pirella, veterano e ideatore delle campagne italiane più celebri e longeve, grande pubblicitario, giornalista e autore di satira, guru della creatività, fondatore e presidente dell’agenzia pubblicitaria Lowe Pirella e dell’Accademia della comunicazione “La Scuola di Emanuele Pirella” a Milano, laboratorio e incubatrice di nuovi talenti.
Nato nel 1940 a Reggio Emilia, studia alla Facoltà di Lettere Moderne a Bologna, poco più che ventenne si trasferisce a Milano con la voglia e l’intento di inserirsi in una casa editrice, ma viene dirottato da Elio Vittorini e Italo Calvino in un’agenzia pubblicitaria.
Inizia così l’avventura con l’agenzia CPV (sede italiana della Colman, Prentis and Varley diretta da Gianfranco Livraghi), successivamente con la Young&Rubicam (tra le più importanti agenzie pubblicitarie del mondo), e in seguito come direttore creativo di Italia/BBDO, fondata nel 1971 con Michele Göttsche e Gianni Muccini.
Nel 1981 fonda, sempre con Michele Göttsche, la Lowe Lintas Pirella Göttsche, diventata Lowe Pirella.
Pirella ha ideato alcune tra le campagne più note e aggressive degli anni Settanta, dal celebre fondoschiena più ammirato d’Italia per Jesus Jeans («Non avrai altro jeans all’infuori di me», «Chi mi ama mi segua» ) al tormentone «Nuovo? No! Lavato con Perlana», al Manifesto pubblicitario della banana Chiquita «Apritela. E’ 10 e lode» claim che accompagna tuttora la marca.
E’ stato il primo ad utiliziare il proprietario di un’azienda – Giovanni Rana – per pubblicizzare i suoi prodotti/tortellini attraverso raffinate citazioni cinematografiche.
«Tra committente ed esecutore le campagne vere le fa la gente. Noi abbiamo il compito di prestare l`orecchio e capire i “claim” che la gente borbotta e riscriverli in modo creativo»: “O così. O Pomì” l’ha inventato una casalinga…»
Immagini tratte da “Il copywriter, mestiere d’arte” il libro in cui Emanuele Pirella parla della sua esperienza nell’advertising e spiega i trucchi del mestiere, la pubblicità tra ragione ed emozione.
«Ci mancherà e mi mancherà la sua intelligenza e la sua ironia» commenta Oliviero Toscani la scomparsa del grande pubblicitario. «Emanuele era un signore che capiva le cose, forse un po’ triste, un po’ melanconico, ma molto riflessivo e ironico. Lo definisco un “apprezzatore”, dato che apprezzava le cose di qualità».
E avendo fotografato il lato A e il lato B della ragazza per la campagna Jeans Jesus, ricorda: «Feci l’immagine con Maurizio Vitale, il proprietario del marchio Robe di Kappa, ma non conoscevo Pirella, non avevo contatti con la sua Agenzia che fece poi la campagna. Poi lo conobbi e lo apprezzai: l’ho sempre considerato come un fratello maggiore, uno zio, lo “zio Emanuele”, con la sua aria posata, riflessiva. Non è mai stato un sovversivo come me e la mia generazione. Aveva di contro il senso della politica e del consenso»
Il paradosso è che Pirella – che ha fatto della cultura e dell’eleganza il suo marchio distintivo – negli anni ’70 fu denunciato per oltraggio al pudore per le headlines della campagna Jeans Jesus, slogan che fecero indispettire persino Pier Paolo Pasolini.
“Ogni epoca ha la propria Madame Verdurin e Tullio Pericoli (disegni) ed Emanuele Pirella (testi) ci hanno gratificato della nostra Madame, nella persona di Fulvia che inesorabilmente ogni sabato sera raduna tutti quelli che, quanto a intellettualità, contano qualcosa e credono di contare di più, quelli che non contano nulla, ma si comportano come se contassero, quelli che forse hanno contato, ma non contano da un pezzo e cominciano addirittura a sospettare di non aver contato mai» dice Oreste del Buono «Un romanziere di accanito risentimento e micidiale stratega di spericolate campagne pubblicitarie“.
“Raffinata, ironica, pungente, la critica di Pirella scavalcava con sicurezza ogni pretesa di rigido inquadramento teorico e privilegiava invece un’analisi «amorosa» di ciò che la tv, creatura polimorfa, diventa nelle mani dei suoi protagonisti” scrive Aldo Grasso.
Con molti suoi colleghi, da Armando Testa a Marco Mignani, da Milka Pogliani a Maurizio D’Adda, Pasquale Barbella, Giampiero Vigorelli, Aldo Biasi, Anna Maria Testa, Gianfranco Moretti, Luca Maroni, Sandro Baldoni e altri ha costituito la generazione dei “Mad Men italiani“, quando la pubblicità era nel suo pieno sviluppo, industriale e creativo.