Dido Fontana. Uno sguardo spregiudicato, quello di Dido, che impone ad ogni immagine anche il suo negativo, come se si avesse costantemente la possibilità di vedere il bello e il marcio di ogni cosa, la natura e l’artificio. Scatti che sembrano sempre casuali ma che raccolgono all’interno dettagli di nature morte e composizioni niente affatto occasionali in cui la figura umana prende spesso il sopravvento attirando l’attenzione con movimenti colti in una distrazione barocca, un momento prima o dopo la posa. E’ lì che ti mette Dido, ti ci accompagna davanti alla sua immagine, ti dice di guardare, di spiare la naturalezza di quelle non-pose. Decide lui dove devi stare e quanto puoi e non puoi vedere. A volte riesce a decidere pure il tempo in cui tu te ne starai a guardare quell’immagine, prevedendo dove cadrà il tuo occhio e da cosa invece fuggirà. Una (s)grammatica precisa, la sua, capace di ridare vita, senso e bellezza ad ogni cosa. Ma nonostante ci sia una fisicità potente nei suoi scatti è quasi da subito chiaro che non sono foto di sesso, ma di vita. E della vita c’è tutto. Quella che cresce, quella che sarà e a volte, in certe immagini, quella che è stata.
Virginia Sommadossi (Esperta di comunicazione è responsabile delle relazioni esterne per il centro di produzione Centrale Fies e Fies Core).
Son trent’anni che mi cambio