Allattamento a richiesta e alto contatto.

Prima che la nostra bimba nascesse non mi sono mai posta quesiti sull’allattamento, se sarebbe stato facile, faticoso, impegnativo, doloroso, la immaginavo come una pratica del tutto naturale e istintiva che si sarebbe integrata semplicemente alle varie fasi di accudimento e che non si sarebbe protratta oltre i 6 mesi, età dello svezzamento. Nel mio immaginario l’idea di un bimbo attaccato al seno, un bimbo non più “neonato”, che mangia, parla e cammina, eh… non era conciliabile.

Quando un’ora dopo il TC (parto cesareo sì, ma questa è un’altra storia) mi hanno fatto scendere dal letto, indicato la sedia e sussurrato: “è ora della poppata!“, ho pensato che la cosa più difficile sarebbe stata quella di stare seduta, non certo d’allattare. In effetti Viola si è attaccata subito senza problemi e tutto si è svolto come da manuale. E nonostante le leggende narrino che “con il cesareo poi difficilmente allatti” siamo state dimesse con ripresa del peso perfettamente nella norma e “allattamento esclusivo”.

I primi giorni a casa sono stati totalizzanti, estenuanti sì, ma la meraviglia!
Certo era più il tempo in cui Viola stava attaccata al seno, appena la staccavo piangeva, si riattacava, dopo poco si rilassava, crollava nel sonno e appena cercavo di metterla nella culla, occhi sbarrati, pianti, riattacchiamola, e avanti così. Lo chiamano allattamento a richiesta mica per niente, no?

Al primo controllo pediatrico però (prenotato in anticipo perché nei giorni successivi alle dimissioni iniziava ad apparirci con la pelle un po’ “giallina”) arriva il macigno: “Signora la bambina non solo non ha preso peso, ma l’ha perso”.
No, non è possibile, è attaccata giorno e notte, qualcosa non torna.
Non tornavano i valori della bilirubina, ed eccoci ricoverate d’urgenza per la fototerapia.

Forse Viola, nata a 37 settimane (limite della nascita definita prematura) era troppo debole per debellare l’ittero, forse, non avendo trascorso una gravidanza propriamente rilassata, io ero troppo debilitata per produrre abbastanza latte, sta di fatto che dall’amorevole menage simbiotico in cui eravamo immerse, ci siamo ritrovate da un momento all’altro separate in due asettiche stanze di ospedale, dove potevo raggiungere la mia bimba solo per pochi minuti al giorno.

Devastante.

Dopo 7 giorni dalla nascita, 7 giorni di amore totalizzante, il distacco è stato traumatico, sapevamo che si trattava solo di pochi giorni, che la piccola non aveva nulla di grave, ma la separazione è stata un duro colpo.

Non è questo aspetto drammatico però che voglio sviscerare, piuttosto infondere coraggio a chi come me si sta trovando nella stessa situazione, uno stimolo che a me in quel momento è stato più che d’aiuto.

Dovendo stare sotto la lampada per la gran parte del tempo, Viola veniva alimentata con latte artificiale, potevo raggiungerla solo quando mi chiamavano per le poppate, varie volte durante il giorno e la notte, ma si trattava di poco, pochissimo tempo.

Tornate dall’ospedale, tra ciuccio e biberon, la sua suzione era totalmente sballata. Inoltre il non poterla attaccare con frequenza in quei giorni, aveva contribuito (e ulteriormente ridotto) la mia già scarsa produzione.
Va da sé che la tanto temuta “aggiunta o giunta” è stata introdotta alle nostre seconde dimissioni dall’ospedale.

Non scoraggiamoci, Viola ora sta bene, è quello che conta.
L’allattamento a richiesta comunque non si molla, proviamoci ancora, crediamoci!

Giù di integratori e tisane per aumentare la produzione di latte, poppate a non finire, ma i suoi pianti disperati non appena la staccavo dal seno – segno che non ero stata in grado di saziarla – erano strazianti.
Una volta armati di termos, così che il biberon con l’aggiunta fosse subito pronto e della temperatura giusta non appena lei si staccava, le cose sono andate un po’ meglio, dal punto di vista logistico almeno, da quello morale l’inadeguatezza era lì a farsi beffa di me: non sei stata in grado di partorirla naturalmente e ora neanche di allattarla.

Non sono mai stata in fissa con il naturale al 100% in qualunque caso e a tutti i costi, e probabilmente dopo il primo sgomento iniziale, come mi sono rassegnata al TC (dopo aver idealizzato un pirotecnico parto in acqua con playlist già pronta all’8° mese, per poi dover programmare in fretta e furia il cesareo per complicazioni) mi sarei rassegnata anche al latte artificiale senza troppi rimpianti.

Sì, il latte materno è il miglior alimento per il neonato, è risaputo, ma conosco bimbi cresciuti sani e forti anche con il latte in formula, perché ostinarsi col naturale quando ormai i presupposti – per cause di forza maggiore – sembravano esser venuti a mancare?
Perché Viola il latte l’artificiale non lo digeriva, con le aggiunte erano arrivate anche le coliche, il reflusso e tutta una serie di fastidi che quando invece riusciva a saziarsi solo da me non si presentavano.

Abbiamo provato tutte le migliori marche di latte artificiale, lo abbiamo provato liquido, in polvere, ma niente da fare, lo abbiamo sostituito con quello anti reflusso su consiglio della pediatra, ma poi non si scaricava più.
E’ così che siamo arrivati al sondino e anche a dire basta.

Presa di coraggio (il terrore era quello di sentirsi dire di nuovo: Sua figlia ha perso peso!) e su indicazione di un’ostetrica provvidenziale, ho eliminato una giunta al giorno dopo la poppata e nel giro di una settimana siamo riuscite a tornare all’allattamento esclusivo. Finalmente Viola dopo la poppata non strillava più disperata! Al contrario, si addormentava rilassatissima con un’aria beata. Niente più reflusso né coliche, niente più doppia pesata ad ogni poppata, niente più biberon da sterilizzare e polverine da dosare, Viola cresceva e cresceva bene, solo ed esclusivamente grazie al mio latte: una soddisfazione incredibile, un’esperienza così potente e straordinaria a cui consiglio a tutte – se possibile – di non rinunciare.

Ce l’abbiamo fatta Viola! Ce l’abbiamo fatta!

Piano piano sono finite anche le torture ai capezzoli dei primi mesi, i lividi da spremitura manuale del seno per evitare gli ingorghi, tutto il dolore e le ansie, tutto ma proprio tutto, è stato ampiamente ripagato dalla gioia nel veder crescere la mia bimba paga e serena.

Dopo due mesi e mezzo di allattamento misto – incubo estenuante dal quale pensi di uscirne inevitabilmente sconfitta – ho allattato Viola fino ai 16 mesi, quando al suo complemese guardandomi inflessibile e fiera mi ha detto: “batta mamma, io sono diventata gande ommai!”.

E quindi tutto qui?

Bastava togliere 1 aggiunta al giorno per eliminare l’artificiale definitivamente?
Perché non farlo subito allora? Perché trascinarsi per due mesi e mezzo nel calvario del misto?

Perché Viola inizialmente era troppo debole per poppare a dovere e dopo la fototerapia e i biberon non era più “capace” di farlo correttamente, pur stando ore attaccata al seno non riusciva a “tirare” ciò di cui aveva bisogno, si doveva ri-abituare e rinforzare.

Nel frattempo la scelta estrema di lasciarla affamata, negandole l’aggiunta per questioni di principio, o perché “finché le dai il biberon non si sforzerà mai di ciucciare dal seno“, era una via che reputavo egoistica.

Eccoci dunque in un allattamento a richiesta corredato di giunta: ciò che di più antitetico possa coesistere. Sì perché se l’allattamento a richiesta si basa sull’approccio dell’attaccare il bimbo ogni volta che ne ha l’esigenza, e dunque senza orari, né numero di poppate prestabilite, l’artificiale invece si può somministrare non prima delle 3 ore.

Adottare il misto come passaggio intermedio per arrivare (o tornare) all’allattamento esclusivo, significa attaccare il bimbo tutte le volte che ne sente il bisogno, e SOLO a fine poppata – se ha ancora fame – dare l’aggiunta di latte artificiale.

Pensare di fare una poppata e saltare la successiva dando il biberon per comodità non porta da nessuna parte, la scorciatoia del “non ho voglia di svegliarmi, gli do l’artificiale prima di metterlo a letto così mi tira fino mattina” che senso ha? Se lo spirito è quello tanto vale passare direttamente al latte in formula ed essere coerenti con se stesse.

Se si saltano le poppate il latte giusto per il bambino non arriverà mai, più facilmente se ne andrà del tutto. A quel punto tanto vale non confondere il bimbo e adottare l’artificiale fin da subito, nessuno ha il diritto di giudicare se non voi stesse. Se l’allattamento non fa per voi è controproducente accanirsi, si possono trasmettere tutte le cure e l’amore verso il bimbo in altri modi, non è il non aver allattato che può etichettarti a madre di serie B, così come non basta allattare per sentirsi una madre di serie A. Le etichette lasciamole agli alimenti, le serie ai campionati di fantacalcio, noi mamme giochiamo tutte nella stessa squadra.

Cosa mi ha aiutato nel passaggio dal misto all’allattamento esclusivo:

  • Il sostegno delle amiche, di chi dal misto ci è passata ed è riuscita ad arrivare all’allattamento esclusivo facendomi intravedere la speranza (Chiara sei stata assolutamente determinante!), ma anche di chi ha allattato da subito senza problemi facendomi percepire – senza presunzione – che non era una cosa necessariamente sovrumana, c’è chi è più fortunata e chi meno, ma si può fare!
  • Altrettanto fondamentale è stato il conforto di chi ha scelto di non allattare (o per svariati motivi non ha potuto farlo) perché essere cosciente che fallire l’allattamento non è fallire come madre, ti solleva da quella pressione controproducente che grava su ogni neomamma che, per un motivo o per l’altro, è finita al misto o all’artificiale.
  • Il termos (idea provvidenziale Marina!) e il supporto di mio marito che – finché siamo stati nel mezzo del misto – come nei migliori pit stop era pronto con il biberon cotto a puntino da dare a Viola appena si staccava dal seno, evitando così proverbiali strilla notturne che avrebbero interrotto anche il sonno di tutto il vicinato.
  • Il cuscino per l’allattamento: soprattutto per chi sceglie l’allattamento a richiesta, l’agio di poppate comode è essenziale. Che poi quando prendi il ritmo, allatti ovunque e con disinvoltura anche nelle occasioni più inconsuete, ma nei primi periodi quando le poppate durano un’eternità e tu magari ti senti ancora un po’ goffa, è di certo cosa buona e giusta, per te e per la tua schiena.
  • La lanolina pura, nello specifico PureLan della Medela (miracolosa! Grazie Saretta! Tutte le altre creme per capezzoli provate prima di quella non avevano sortito alcun effetto su di me).
  • L’incoraggiamento di un’ostetrica preparata e molto dolce (Michela), che senza giudicare né opprimermi con sermoni bigotti mi ha dato il là per fare il passo (abbandonare l’aggiunta) quando era il momento giusto.

Cosa non mi ha aiutato:

  • La doppia pesata: era sfinente e controproducente, dover correre alla bilancia prima e dopo ogni poppata
  • Gli integratori: solo dopo esserti ingollata roba per aumentare la produzione di latte su consiglio medico, scopri che se il tuo bimbo ha una suzione errata rischi le mastiti!
  • Il tiralatte: forse il modello manuale non ha aiutato, forse con uno elettrico o professionale (di quelli che si affittano in farmacia) sarebbe andata diversamente, ma constatare quanto poco latte usciva dopo 10 minuti di tiratura era deprimente, ecco perché finivo per farlo manualmente
  • I paracapezzoli: hanno solo peggiorato la suzione e il dolore
  • Chi vedendomi sbattuta mi diceva: ormai lascia perdere, se si è abituata con il biberon non imparerà più perché con quello fa meno fatica!
  • Il ciuccio, ciuccio che le ostetriche al corso preparto ti dicono che se vuoi allattare lo devi evitare, almeno per il primo mese! Peccato poi che le infermiere dello stesso ospedale ti rimproverino se a una settimana dalla nascita ne sei sprovvista.Sono tante le contraddizioni in cui ci si scontra durante l’allattamento, a partire da quella fondamentale: se assecondi ogni richiesta del bambino lo stai viziando e non si staccherà mai. Se non lo fai sei una cattiva madre che non ha voglia di sbattersi o svegliarsi la notte perché non ci tiene abbastanza. Probabilmente il consiglio prioritario rimane dunque il più semplice e scontato: seguire il proprio istinto.