Oggetti lunari. Futuribili. Adagiati in ambienti che sembrano galleggiare nell’assenza di gravità.

L’euforia generalizzata per la conquista dello spazio che domina l’immaginario collettivo tra gli anni ’60 e gli anni ’70 diffonde anche nel mondo dei designer e dei progettisti un ottimismo pervasivo: gli oggetti non diventano tout court più tecnologici, ma mutuano forme, colori e materiali dall’iconografia spaziale, generando quella corrente di gusto che – in parte ibridata con il Pop, la Psichedelia o il Radical – è ormai comunemente nota come la “Space Age” della storia del design.

Nascono lampade che sembrano missili o asteroidi, televisori che paiono caschi di astronauti, poltrone morbide e gusciformi come se fossero progettate per l’interno di una navicella spaziale. Allo stesso tempo si mettono a punto idee e progetti per nuovi modi di abitare, ad esempio in “altezza”: sedili e giacigli sospesi a diversi livelli, divani a cuccetta, poltrone agganciate con una carrucola al soffitto, sia per sfidare la forza di gravità sia per risolvere in chiave futuristica il problema degli spazi abitativi che diventano sempre più piccoli e ristretti.

Nel lavoro di designer come Verner Panton, Eero Aarnio o Joe Colombo, le forme rigide, squadrate e angolari dell’arredamento tradizionale lasciano spazio a forme tonde, morbide e organiche. E la plastica trionfa sugli altri materiali per la facilità con cui consente di generare superfici prive di asperità, lisce, bianche, curvilinee e asettiche come quelle di un disco volante o di una astronave lanciata verso l’infinito.  C’è chi progetta la casa del futuro, chi sperimenta morfologie inedite, chi trasferisce nella realtà dello spazio domestico forme e soluzioni da science fiction. Complice e partecipe delle contemporanee esperienze maturate in altri ambiti espressivi, anche il design vive in quegli anni di scambi e di prelievi, di omaggi e di plagi, di adattamenti e di riusi.

Le medesime icone circolano nell’aria, saltano dalla musica al cinema, dal design alla moda, fino a produrre un’iconosfera sorprendentemente coerente. Un solo esempio per tutti: Barbarella non è solo il personaggio dei fumetti o la protagonista dell’omonimo film di Roger Vadim, ma anche un mobile in legno e alluminio anodizzato disegnato nel 1965 da Ettore Sottsass. Come se il pianeta Sogo verso cui prende il volo l’eroina interpretata da Jane Fonda si trovasse di fatto all’interno delle nostre case.

Lo Space Age Design porta insomma la luna in salotto, e trasforma l’interno delle case in un futuristico altrove.

La mostra che il Triennale Design Museum dedica a quegli anni, e alla luce che essi hanno inventato e prodotto, vuol essere prima di tutto un’occasione per rievocare quel clima e per ritrovare quell’entusiasmo, nella consapevolezza che anche oggi avremmo bisogno di un po’ di quella capacità di cogliere e interpretare lo spirito del tempo, e di prefigurare il futuro, di cui il design seppe dar prova in quella irripetibile stagione della sua – e della nostra – storia.