Ti trovi in un teatro a Whitechapel. Per arrivarci hai attraversato un Bangladesh futuribile, fatto di centrifughe per l’insalata, veleno per topi e Iphone rubati.

A due passi dalla grande moschea di quartiere, del tutto simile a una delle nostre discutibili chiese moderne di periferia, attraversata la porta d’ingresso indicata dalla cartina che hai diligentemente stampato, ti ritrovi nel bar-foyer, fatto di luce fioca, emanata da lampadari composti di bottiglie (il riuso è chic), di piatti thai e tramezzini a 4 pound.

Gentrification, pensi, e a ragione.

La sala teatrale non è molto grande, ma bisogna dire che rende, col parquet chiaro che va degradando verso il palco, e il consueto velluto rosso.

Quando, in seguito a circa 4 ore di conversazione sullo scenario performativo new-yorkese  negli anni ’80, un tipo si cala le mutande e comincia a scalare le poltrone con in una mano una bottiglia di whiskey, e nell’altra l’estremità di un tavolo, sorretto, dall’altro lato, da una donna rasata con le tette di fuori, parlando d’arte, in un gioco di botta e risposta tipo “eravamo quattro amici al bar”, solo allora ti ricordi dove diavolo ti sei cacciato.

Sei a Londra, e se il tuo scopo è saperne di più sulla differenza tra mainstream e underground nell’ambito delle arti (intendo più di quanto tu ne possa già sapere guardando le vignette che trovi su facebook) sei nel posto giusto.

E saresti nel posto giusto anche se volessi spendere quei 9 milioni di sterline che avanzano a mamma e papà comprando un quadruccio di Gerhard Richter, com’è successo appena una settimana fa in una delle aste più importanti dell’anno. Un’asta nella settimana di Frieze.

Cos’è Frieze? Se non hai mai sentito questo nome probabilmente hai speso gli ultimi anni nella foresta pluviale, vivendo con quel che la terra generosa riusciva a donarti.

In questo caso stai meglio di noi tutti, ma Frieze è Frieze, e se non hai la fortuna di vivere immerso nel suono del tuo silenzio arriverà il giorno in cui qualcuno ti ticchetterà sulla spalla dicendo: “Oh, è la settimana di Frieze! La giga-fiera d’arte, ricordi? Quella che fanno a Londra! Sarebbe così bello andarci…”.

E poi capita quell’anno in cui, sì!, ti trovi nella capitale del Regno Unito proprio in quei giorni! Entusiasmo, eh? Se non fosse che in 5 giorni si concentrano eventi che potrebbero bastare a riempire una vita intera.

Capisci in cosa ti sei cacciato quando cominci a controllare la casella e-mail di riserva, quella dedicata agli spam inutili e alle news-letter. Se ogni mattina vieni a conoscenza di almeno 3 eventi “imperdibili” allora sei ufficialmente rovinato.

E’ il rimorso che ti frega, perché non puoi essere ovunque o, più semplicemente, non c’hai tutta questa voglia di essere ovunque, ma appena è troppo tardi per partecipare al tal talk, al tal happening, allora subentra l’amarezza, e quella sensazione “C**** dovevo andarci!!”.

Raccontare Frieze non è così emozionante, bisognerebbe vederlo: più di 170 gallerie espongono un totale di 1615 opere d’arte.

Ma i numeri sono un’opinione qui, perché mai come quando ci si trova in un mega supermercato di prodotti estetici come questo si pensa a cosa sia oggi una vera opera d’arte.Forse, in realtà, non si dubita proprio di nulla.

Nessuno ride davanti all’ennesima provocazione da fiera dell’artigianato locale (tipo l’insondabile altarino sormontato da un LP degli Wham! che ti accoglie all’ingresso), nessuno dubita della grandezza dei prodotti offerti dal sommo Gagosian, che non ha neanche bisogno di scrivere i nomi degli autori vicino alle opere, perché tanto ci fidiamo della marca (ancora una volta, come in un supermercato, l’uomo Del Monte ha detto sì…).

Comunque rimane l’occasione, per chi si dirige nello spazio di Regent’s Park senza alcuna intenzione di sganciare un centesimo in più rispetto a quelli (tanti) necessari per pagare il biglietto, di vedere un mucchio di belle cose, anche se immerse in una montagna di cose… meno belle.

Inoltre Frieze si porta dietro alcune delle migliori mostre dell’anno, organizzate in contemporanea all’avvento di plotoni di galleristi, amatori, investitori.

In questo caso è da citare  la triade benedetta Tate Modern–  Hayward GallerySerpentine Gallery (Richter, Pipilotti Rist, Anri Sala), lasciando da parte la grande mostra del Victoria & Albert, che porta Londra al centro di uno dei dibattiti più accesi nel mondo teorico-artistico di oggi: è morto il postmodernismo? Eppur (ancor) si muove.

Quindi queste megafiere d’arte servono pur a qualcosa, e poi, ad essere del tutto onesti, a conoscere la Londra del contemporaneo partendo da Frieze non si sbaglia di certo.

Perché questa mega-metropoli d’Europa ha perso ormai da decenni la sua allure alternativa e avanguardistica, lasciando lo scettro a città più economiche e scattanti, come Berlino, ma rimanendo sempre il “place to be” per capire qualcosa di più sull’arte di oggi e tutto il mondo che le gira attorno, tanto nelle luci quanto nelle ombre.
O per confondersi ancor di più le idee, magari con una bella bottiglia di whiskey in pugno.

Reportage inedito del Friezing London Festival di Chiara Cartuccia – Kill Surf City